Da uno speciale del 1987, in occasione dei 75 anni di Georg Solti.
Sir Georg Solti, figlio di un
commerciante, è nato il 21 ottobre
1912 a Budapest.
«Devo ammettere di aver avuto un bel
po' di fortuna nella vita, ed una
delle cose più fortunate che mi
siano potute capitare è di essere
nato in una città che aveva la più
bella e migliore accademia musicale
del mondo. All'Accademia Liszt di
Budapest non c'erano soltanto degli
eccellenti professori come Bartók,
Kodály, Leo Weiner Dohnányi, ma
anche un clima fortemente
competitivo tra gli studenti. Noi
studenti dovevamo suonare di fronte
a tutta la classe che sedeva
ascoltando le correzioni
dell'insegnante - era una cosa
crudele ma meravigliosa allo stesso
tempo. Avevo dimostrato di possedere
un grande talento pianistico fin da
giovanissimo e a soli sei anni era
ormai evidente che sarei diventato
un musicista: a tredici fui ammesso
come studente all'Accademia. Mi resi
conto di voler diventare un
direttore d'orchestra dopo aver
ascoltato Erich Kleiber dirigere la
Quinta di Beethoven. A diciotto anni
mi recai segretamente dal direttore
dell'Opera di Budapest per
domandargli se mi fosse stato
possibile esercitarmi e lavorare
presso quell'istituzione.
«Certamente è una cosa possibile» -
mi rispose - «ma cosa direbbero i
tuoi genitori? L'opera è un ambiente
estremamente immorale e tu hai solo
diciotto anni ». «Oh» - risposi -
«non ci saranno problemi» e così fu,
i miei genitori furono assolutamente
d'accordo.
Gli anni che passai al Teatro
dell'Opera - dal 1932 al 1939 -
costituirono una preziosissima
esperienza, permettendomi d'imparare
qualcosa come trenta o quaranta
opere. Non posso dire se fossi un
buon direttore, ma ero sicuramente
il miglior maestro sostituto che ci
fosse. Nel 1937 ottenni una borsa di
studio per recarmi al festival di
Salisburgo dove arrivai
presentandomi al presidente della
manifestazione con una lettera di
raccomandazione. Dopo aver letto la
lettera il presidente mi chiese se
conoscessi Il flauto magico perché
il maestro sostituto era malato -
c'era un'epidemia di influenza
quell'estate - ed avevano urgente
bisogno di qualcuno che suonasse
alle prove. Fu così che conobbi il
famoso direttore Dr. Graf e
cominciammo subito le prove. Tutto
andò per il meglio finché non notai
un piccolo uomo sul palcoscenico; io
ero nella fossa ma lo riconobbi
immediatamente: era Toscanini che
cominciò a dirigere. Ero
terrorizzato e non mi rimase che
sperare di suonare abbastanza bene
per lui. Quando la prova terminò
disse soltanto «bene»; quel «bene»
significò per me molto più di ogni
altra cosa che mi fosse successa
prima d'allora. Fortunatamente per
me l'epidemia influenzale continuò
ed ebbi la possibilità di suonare
alle prove del Flauto magico, dei
Maestri cantori e del Fidelio. Alla
fine del festival il presidente mi
offrì il posto di maestro sostituto
per l'anno successivo, il 1938.
Nel frattempo i giornali di Budapest
avevano cominciato a notarmi e si
domandavano: « C'è questo giovane
che ha molto talento, non sarebbe
possibile farlo lavorare qui?» Era
assolutamente fuori questione:
l'Opera di Budapest non aveva mai
permesso ad un ebreo di dirigere.
Certo mi potrete dire che Mahler
l'aveva fatto, ma quando Mahler
divenne direttore dell'Opera di
Budapest non era gia più ebreo,
essendosi ormai convertito al
cattolicesimo - e non per ragioni
professionali, ma perché ci credeva;
rimase un fervente cattolico fino
alla fine dei suoi giorni. Una
persona di fede ebraica in un posto
di stato all'Opera di Budapest era
un fatto inaccettabile, ecco
l'ostacolo che mi trovai ad
affrontare.
Suggerisco sempre ai giovani di
avere fede e costanza - bisogna
credere in se stessi. Continuai così
a chiedere di darmi una possibilità,
finché un bel giorno il direttore mi
mandò a chiamare - non il direttore
che avevo conosciuto prima ma uno
nuovo - e mi disse che l'undici
marzo avrei diretto Le nozze di
Figaro. Era la prima volta che
dirigevo dalla fossa d'orchestra
senza prove, e tutto andò
sorprendentemente per il meglio.
Dopo l'intervallo il cantante che
impersonava il conte cominciò a fare
un errore dopo l'altro e con mio
sgomento non riuscii a capacitàrmene
fino alla fine della
rappresentazione: durante
l'intervallo un'edizione
straordinaria del quotidiano di
Budapest aveva reso noto che le
truppe di Hitler erano entrate a
Vienna - era il giorno dell'Anschluss
e mentre io non ero stato informato
il baritono, anch'egli ebreo, ne era
venuto a conoscenza durante la pausa
e non riusciva a riaversi dallo
shock.
Questa serata costituì una svolta
decisiva nella mia vita. Sapevo di
non avere più nessuna chance a
Budapest, così queste Nozze di
Figaro furono la mia prima ed ultima
esperienza nella mia città natale.
Evidentemente avrei dovuto
abbandonare l'Ungheria nonostante
fossi ungherese fin nel midollo. Gli
ungheresi posseggono questa capacità
di sentirsi talmente bene nel
proprio paese che la vita fuori da
esso pare loro assolutamente
barbara: non ci sono neanche i caffè
che noi amiamo così tanto
frequentare! Continuai a provare
quella sensazione finché non
cominciai a diventare cosmopolita;
adesso non appartengo a nessun
paese, a nessuna città, il che ha i
suoi lati sgradevoli ma anche alcuni
vantaggi. Sapevo che avrei dovuto
cercare di raggiungere gli Stati
Uniti dove speravo che Toscanini mi
avrebbe aiutato. Non appena
Toscanini e Adolf Busch vennero a
conoscenza dell''Anschluss
annullarono il festival di
Salisburgo, che quell'anno ebbe
luogo per la prima volta a Lucerna.
Fu così che il 14 agosto 1939 mi
recai a Lucerna convinto di restarvi
una settimana. Mio padre mi
accompagnò alla stazione e quando
salii sul treno pianse. Ero molto
irritato dal suo comportamento, dopo
tutto avevo ventiquattro anni e mi
sentivo adulto, gli chiesi: «perché
piangi? Sarò di ritorno tra una
quindicina di giorni ... » «Si, si»
- mi disse - «ma ...». Non ho più
rivisto mio padre.
A Lucerna, Solti dovette aspettare
molti giorni finché non si fece
coraggio ed osò avvicinare Toscanini
che si ricordava di lui e promise di
scrivergli una lettera di
raccomandazione, però per andare
negli Stati Uniti aveva anche
bisogno di un visto.
«Il trenta agosto ricevetti un
telegramma che mi chiedeva di non
tornare a casa; compresi benissimo
cosa stava succedendo, sapevo che
avrei dovuto trovare una soluzione e
così restai in Svizzera. Non
conoscevo nessuno in quel paese, ad
eccezione del tenore Max Hirsch. Lo
chiamai ed egli mi chiese cosa stavo
facendo in Svizzera; io fui tanto
ingenuo da rispondergli che ero in
attesa di ottenere un visto per gli
Stati Uniti, ed una volta
soddisfatta la sua curiosità su
quanto tempo mi sarebbe stato
necessario (gli dissi che non ci
sarebbe voluto più di qualche
settimana), egli m'invitò a casa sua
chiedendomi di fargli studiare
Tristano. Rimasi a casa di Hirsch
per un anno e mezzo. La prima volta
cantò a Berna ed andò tutto bene,
anche se devo ammettere che non
riuscì mai ad imparare la parte alla
perfezione. Verso l'inizio di
ottobre ottenni un appuntamento
all'ambasciata americana (il che non
era assolutamente facile; centinaia
di persone l'assediavano di
continuo). Mi dissero che avrei
ottenuto il visto soltanto se avessi
potuto dimostrare di avere un
ingaggio negli Stati Uniti. Fu così
che mi misi in contatto con i molti
amici ungheresi che risiedevano in
America per domandare se potessero
aiutarmi a trovare un lavoro. Sandor
Salgo, un violinista che viveva in
California, mi mandò una lettera
d'ingaggio per la St. Louis Summer
Opera per dirigere Lucia di
Lammermoor. Ovviamente si trattava
di una truffa. Non mi rimaneva che
aspettare, ma prima dovetti inviare
ad un direttore italiano circa 500
dollari e, dopo avere dato metà del
mio capitale a questo gangster,
ricevetti un documento che
comprovava l'ingaggio per dirigere
Lucia di Lammermoor alla St. Louis
Summer Opera. Armato di queste carte
mi recai tutto fiero al consolato
dove non restai più di cinque
minuti, il tempo necessario perché
l'impiegato leggesse i documenti e
li rimettesse sul tavolo con queste
parole: «Questa è una frode bella e
buona, non potrà ottenere un visto
per gli Stati Uniti né ora né mai
perché la segnerò su di una lista
nera». Beh, adesso sappiamo che non
è stato così, ma allora mi sentii
finito, non mi restava niente da
fare.»
A
Solti si presentò una nuova
possibilità: il concorso pianistico
di Ginevra. Quando Solti s'iscrisse
aveva trent'anni, il limite massimo
d'ammissione. Un premio a Ginevra
significava un po' di denaro, un po'
di fama ed un concerto con
l'Orchestre de la Suisse Romande di
Ansermet. Alla prima prova Solti
passò senza problemi, ma poi venne
l'eliminatoria finale, l'esame
decisivo per il talento, i nervi e
la memoria.
«Dato che avevo sempre suonato a
memoria mi recai al conservatorio di
Ginevra soltanto un'ora prima del
mio esame. Ero l'ultimo, per questo
sapevo che non sarebbe stato il mio
turno per un'altra ora e mezzo. Poi,
durante l'ultima mezz'ora andai nel
camerino per riscaldarmi le dita.
Cominciai a suonare, senza
anticipare nulla. C'era una fuga
nella Sonata in la bemolle di
Beethoven che avrei dovuto suonare,
cominciai ma non sapevo dove dovevo
mettere la mano destra. Cominciai di
nuovo, e di nuovo ancora. Mi stavo
gradualmente facendo prendere dal
panico - immaginatevi, dopo quindici
minuti avrei dovuto suonare di
fronte ad un pubblico e non sapevo
da che parte iniziare. Pensai che
sarei dovuto andare a prendere lo
spartito, ma mi era impossibile
perché vivevo troppo lontano, così
fui costretto a dire al segretario
che mi sentivo male e che non avrei
potuto suonare. Ma nella confusione
il terzo concorrente aveva finito la
sua prova ed io fui scaraventato sul
palcoscenico e dovetti suonare. Era
un rischio tremendo; ma devo aver
suonato in trance perché non mi
ricordo assolutamente nulla. In
breve, vinsi il primo premio. Verso
il 1943/44 ero diventato un pianista
abbastanza noto in Svizzera, ma mi
rendevo benissimo conto che avrei
suonato solo fintanto che non avessi
avuto la possibilità di dirigere».
1945
- la guerra finisce, i generi
alimentari sono irreperibili, non ci
sono treni ma tutti parlano di un
nuovo inizio della ricostruzione;
sia la musica che il teatro
rinascevano. Solti scrisse al suo
amico ungherese Edvard Kilenyi per
chiedergli se ci fosse bisogno di
lui nell'opera di ricostruzione
della Germania (Kilenyi era
ufficiale musicale con le forze
d'occupazione americane a Monaco di
Baviera). La risposta arrivò dopo
poco tempo: Solti doveva recarsi il
15 marzo a Kreuzlingen dove
l'avrebbe aspettato una Jeep
dell'esercito americano.
«1946. Era nel bel mezzo della notte
e la Jeep era scoperta, faceva un
freddo terribile. Semi-congelato e
nel buio non mi resi conto dello
stato di devastazione finché non
arrivammo a Monaco verso le due o le
tre del mattino. Per la prima volta
nella mia vita vidi fino a che punto
era possibile distruggere; era una
cosa indescrivibile; man mano che ci
avvicinavamo al centro della città
la situazione peggiorava, non c'era
praticamente neanche una casa in
piedi, soltanto un mare di macerie.
L'impressione che ne riportai, io
che in Svizzera non ero venuto a
contatto con la tragica realtà del
bombardamenti, era agghiacciante! Mi
fu data una sedia e mi sforzai di
dormire. La mattina seguente Kilenyi
mi fece fare colazione (e non era
facile, dato che ero un civile in
una mensa ufficiali) e mi portò in
seguito all'Opera. Bauchner, il
direttore generale del teatro,
disse: «felice di vederla, ma non
abbiamo bisogno di lei». «Ma se mi
avete chiesto di aiutarvi» - fu la
reazione di Kilenyi - «ed io vi
avrei portato questo giovane pieno
di talento solo per vederlo
rifiutare!» Kilenyi era sconvolto ed
irritato, così chiamò un amico che
faceva l'ufficiale musicale a
Stoccarda, ed il giorno seguente mi
recai in quella città con un treno
tedesco semi-distrutto, con i
finestrini rotti, ma non m'importava
perché l'unica cosa a cui tenevo era
dirigere. Arrivato all'Opera di
Stoccarda domandai se potevo fare
Fidelio, che non avevo mai diretto
prima. Non dimenticherò mai
l'imbarazzo che provai alla prima ed
unica prova con l'orchestra: c'è una
famosa aria di Leonore ed io chiesi
dov'era il quarto corno - era
scritta per tre corni, l'unica che
Beethoven abbia mai scritto per tre
soli corni! Fidelio andò benissimo e
mi fu chiesto di recarmi dal
ministro della Cultura del
Baden-Württemberg per discutere un
ingaggio. Aveva sentito dire che ero
un buon direttore e voleva offrirmi
un lavoro per il settembre seguente.
Io accettai ed in seguito Bauchner,
che aveva sentito il Fidelio, mi
offrì un lavoro a Monaco. Per questa
ragione Kilenyi mi riportò a Monaco
un mese dopo. Bauchner mi offrì il
posto di direttore musicale del
teatro dell'Opera.
Fu un periodo splendido che
ricorderò per tutta la vita. Si
andava in scena al Prinzregenten
Theater, l'unico posto in tutta
Monaco dove era ancora possibile
rappresentare un'opera - nonostante
ciò anche questo teatro era in parte
danneggiato, e sia i costumi che le
scenografie erano andati distrutti.
Per questa ragione eseguimmo il
Requiem di Verdi, che non ha bisogno
di scene, tre volte alla settimana.
La mia prima opera fu Carmen. Faceva
talmente freddo durante le prove che
dalla mia testa cominciava a
formarsi del vapore: il sudore si
congelava ed evaporava. La cosa più
incredibile è che non mi sono mai
preso neanche un raffreddore. Le
serate erano appena più calde grazie
all'aiuto degli americani ed al
calore corporeo del pubblico. I
biglietti erano sempre esauriti,
tanto che potevamo vivere
confortevolmente con würstel e
verdura tutti i giorni, ma niente
frutta perché non ce n'era. Il
morale era comunque alto, ognuno di
noi era ottimista e sollevato. Il
pubblico era sempre così folto che
mi sconvolge pensare a quanto
oggigiorno sia blasé il pubblico di
tutto il mondo che si aspetta sempre
il meglio come se fosse un fatto
ovvio - niente è mai abbastanza
buono. Quella gente nel 1946 veniva
a teatro con un entusiasmo senza
pari.
Avevo molto tempo a disposizione per
studiare ogni pezzo e provarlo con i
cantanti e con l'orchestra - adesso
non c'è più quella mentalità, un
direttore d'orchestra deve dirigere
di tutto senza batter ciglio, tutto
Mozart, Verdi, Strauss, Wagner etc.
Nel giugno del 1949 Richard Strauss
tornava a Garmisch per il suo
ottantacinquesimo compleanno.
Dovevamo provare il Rosenkavalier ed
egli arrivò alla prova generale
dell'ultimo atto con Georg Hahn
nella parte del Barone Ochs. In
onore di Strauss demmo un concerto a
sorpresa a Garmisch ed io eseguii la
sua sonata giovanile per violino e
pianoforte. Strauss fu molto gentile
e m'invitò a casa sua dove mi recai
con tonnellate di partiture -
Elektra, Rosenkavalier - chi poteva
insegnarmi meglio del compositore in
persona? Non volle saperne: «è molto
semplice» - mi disse - «se si recita
il testo di Hoffmansthal a tempo ci
si riesce». Ed è vero, non conosco
un altro compositore che possegga la
maestria di Strauss nel mettere le
parole in musica. «Conosce Tristano?
- mi chiese - ed io che lo avevo
diretto a Monaco risposi di si. «Si
è mai domandato perché nell'ultimo
accordo suonano tutti gli strumenti
all'infuori del corno inglese?» Non
ne avevo la minima idea ed egli mi
spiegò che il corno inglese è il
simbolo del veleno e che nella morte
non c'è veleno, pertanto
nell'accordo finale non compare il
corno inglese. Avrebbe voluto
continuare a parlare ma sua moglie
Pauline mi pregò di andarmene
cosicché Strauss potesse riposare
nel pomeriggio. Morì quella stessa
estate ed io ebbi l'onore di suonare
al suo funerale. Pauline morì pochi
mesi dopo - senza il suo Richard non
poteva sopravvivere. Tutto andò per
il meglio a Monaco, dove imparai e
diressi circa quaranta opere nel
corso di sei anni - il che non era
un compito facile, cui si aggiungeva
inoltre la direzione del teatro,
l'insegnamento e lo studio, di
giorno e di notte. Persi il ritmo,
poi incontrai Harry Buckwitz che
m'invitò a raggiungerlo presso il
suo nuovo teatro a Francoforte che
doveva essere inaugurato nel
settembre 1952. Accettai senza
pensarci due volte.»
I
dieci anni che seguirono segnarono
il passaggio ad una carriera di
carattere internazionale: da
Francoforte Solti partì per tenere i
primi concerti in America. Questa
volta sia i contratti che il visto
erano autentici. Nel frattempo la
Royal Opera House, Covent Garden, lo
aveva invitato a dirigere
Rosenkavalier.
«Arrivai a Londra nel dicembre del
1959. Fu un esecuzione fatale perché
il presidente del teatro, Lord
Drogheda, era talmente entusiasta
che mi offrì l'incarico di direttore
musicale. Fui molto sorpreso e gli
risposi che mi sentivo molto onorato
della sua proposta ma che non
l'avrei mai accettata. Erano ormai
quindici anni che dirigevo opere ed
avendo ricevuto un invito da parte
della Los Angeles Philharmonic non
avrei voluto rinunciarvi. Fu allora
che il mio angelo custode si
presentò sotto le spoglie di Bruno
Walter. Lo avevo incontrato
precedentemente a Los Angeles ed
andai a chiedergli consiglio
sull'offerta del Covent Garden. Mi
disse che avevo torto e che era mio
preciso dovere accettare l'offerta.
«Non deve interrompere la linea
generazionale; la vecchia
generazione si sta gradualmente
ritirando dell'opera e la nuova deve
accettare la sfida di continuare
altrimenti si formerà un abisso
incolmabile nella tradizione». Mi
persuase. Londra fu un capitolo
strano ma fondamentale nella mia
vita. All'inizio detestavo la città,
non riuscivo a parlare correttamente
e la gente mi disprezzava
giudicandomi troppo 'prussiano', mi
chiamavano il Prussiano del Covent
Garden. Mi ci volle un bel po' di
tempo per familiarizzarmi col modo
di vita inglese e per imparare ad
apprezzarlo. Ma ci volle anche molto
tempo perché gli inglesi capissero
che il mio non era un atteggiamento
dispotico ma che tentavo
semplicemente di incoraggiare la
gente a migliorare. Inizialmente la
ritenevano una cosa strana. Sono
estremamente grato all'Inghilterra
di avermi fatto sentire a casa - non
mi ero più sentito così da che avevo
lasciato l'Ungheria; in Inghilterra
incontrai mia moglie, e i miei due
figli sono nati in quel paese.
Ovviamente tutto questo ti fa
sentire a casa, che per me si trova
dov'è la mia famiglia.».
Ciononostante Solti voleva diventare
direttore di un'orchestra sinfonica.
La Chicago Symphony Orchestra stava
cercando un direttore di altissima
qualità, con talento ed energia. Il
posto fu offerto a Solti che lo
accettò.
«Nel settembre del 1969 diedi il mio
primo concerto a Chicago in qualità
di direttore musicale. Quel
settembre si allungò fino a
diventare diciotto interi anni, i
diciotto anni musicali più felici
della mia vita. Sono fiero di poter
dire che in diciotto anni non ho mai
avuto occasione di litigare con
l'orchestra. Non ho mai parlato
'fortissimo', e lavoriamo sempre più
nel sereno accordo musicale.
All'inizio pensavo che fosse
soltanto una luna di miele e che
presto sarebbe finita. L'orchestra
era famosa per essere difficile, era
chiamata il cimitero dei direttori
perché ne bruciava uno dopo l'altro.
Io non sono ancora morto. Sono
direttore di questa orchestra da
diciotto anni ed intendo rimanerlo
ancora a lungo, almeno finché il
fisico regge. Con un direttore che
rispetta, quest'orchestra esegue una
sinfonia di Beethoven o di Brahms
con l'entusiasmo della prima volta;
è una cosa che io trovo commovente
ed è la ragione per cui sono restato
qui così a lungo. Abbiamo tenuto più
di settecento concerti assieme,
inciso innumerevoli dischi, siamo
apparsi moltissime volte in
televisione, ed abbiamo
ripetutamente viaggiato insieme: è
un ottimo matrimonio. La
comprensione e la stima sono
reciproche.»
Negli ultimi trenta anni Sir Georg
Solti è stato intimamente legato ai
Wiener Philharmoniker con i quali ha
fatto un'incisione storica come il
Ring wagneriano. Lohengrin segna il
punto finale con cui Sir Georg
completa l'incisione delle
principali opere di Wagner -
registrate tutte (eccettuato Il
vascello fantasma) con i Wiener
Philharmoniker.
«Erano molti anni che mi si chiedeva
d'incidere Lohengrin, ma io non
volevo farlo per due ragioni: non mi
piaceva molto e non riuscivo a
trovare il cast giusto. Lavorare al
Lohengrin mi ha cambiato moltissimo
ed ho scoperto profonde affinità con
esso. Ritengo d'aver trovato il cast
ideale: nel caso di Jessye Norman e
di Placido Domingo non posso che
dire che sono meravigliosi, ma anche
gli altri sono cantanti eccellenti.
Nel corso della registrazione del
Ring ho inciso con Birgit Nilsson e
Hans Hotter, e molti altri cantanti
importanti tra cui Windgassen, Frick,
e Christa Ludwig. Se dovessi fare
tutto l'elenco mi troverei a narrare
la storia dell'opera e del disco
degli ultimi quarant'anni.
Mi si chiede spesso il segreto della
mia inesauribile energia: l'unico
segreto consiste nella mia abituale
pausa estiva durante la quale mi
ritiro per sei, sette, talvolta otto
settimane nella mia casa italiana,
non per lavorare ma per giocare con
i figlioli, passare un po' di tempo
con mia moglie, giocare a tennis,
fare delle nuotate, delle
passeggiate e condurre una
normalissima vita privata. Ma devo
ammettere che è molto difficile, mi
ci vogliono diverse settimane per
bandire dalla testa ogni pensiero
musicale, per smettere di sognare e
nutrirmi di musica. È la terribile
condanna di un musicista, ma dopo
alcune settimane la situazione
migliora e divento una persona
normale.
Dopo due o tre settimane, però, devo
gradualmente riprendere il lavoro,
prima un'ora al giorno poi un po' di
più, nello studio che mi sono fatto
appositamente costruire vicino a
casa. Da lì posso vedere il mio
cortile incantato, ho anche un
vecchio tavolo il cui piano ha circa
cinquecento anni: i monaci lo
usavano come desco (mensa, n.d.t.)
nel medioevo - i pasti erano
consumati in assoluto silenzio,
meditando. È un posto ideale per
studiare.
Ho ancora due desideri: il primo e
più importante è che possa vivere
ancora abbastanza per andare al
matrimonio delle mie figlie e
conoscere i miei nipotini; il
secondo è che non possa mai essere
soddisfatto del mio lavoro - se
dovessi svegliarmi ed esclamare
'ieri sono stato perfetto!' sarebbe
la fine della mia evoluzione
musicale. Si, desidero che il mio
lavoro migliori sempre più.»