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Il Primato del melodramma

17/01/2011, 20:40







La musica da camera e sinfonica era decisamente meno spettacolare e più intellettuale, per veri intenditori. La vera rivoluzione popolare, in campo musicale, avviene nel melodramma (mélos = canto, dramma = recitazione), ove si può costatare più facilmente l'influenza reciproca tra musica e società. In Italia poi era impensabile separare Romanticismo da Risorgimento.

E' vero che i fermenti politici dei patrioti venivano repressi dalla polizia, ma è anche vero che questa non riusciva sempre a impedire le innovazioni artistiche nel campo della letteratura, del teatro e della musica. Anzi gli austriaci tendevano a incoraggiare gli spettacoli, nell'errata convinzione che quando il popolo si diverte non pensa alle insurrezioni.

In realtà proprio nel melodramma e più in generale nei teatri in cui veniva rappresentato, confluivano le idee più eversive dell'epoca, tanto che il successo di un'opera spesso dipendeva dalle allusioni alla situazione oppressiva del momento.

Non a caso il compositore più significativo dell'Ottocento fu Verdi. Quasi tutti gli spartiti da lui composti fra il 1842 e il 1849, nell'epoca più intensa della lotta politica italiana, contengono vicende, frasi, cori in cui si parla di liberazione nazionale (Nabucco, I Lombardi alla prima crociata, La battaglia di Legnano, ecc.).

La stessa musica, col suo ritmo energico, incalzante, con la sua persuasività e anche con la facilità con cui molte volte poteva essere memorizzata e riprodotta al di fuori dei teatri, rispecchiava perfettamente gli stati d'animo del tempo: cosa che neppure i giornali, nonostante la censura, potevano tacere.




Il melodramma è una rappresentazione scenica, in uno o più atti, di un'azione tragica o comica, i cui personaggi non sono solo cantanti ma anche attori. Veniva anche detto "opera lirica" o semplicemente "opera" (Wagner usò la locuzione "dramma musicale").

I precedenti storici di questo genere musicale sono antichissimi: già nella tragedia greca la musica veniva unita alla parola. E anche nel Medioevo esistevano combinazioni di musica e azione drammatica. Nel Dramma liturgico o nella Sacra rappresentazione gli argomenti tratti dall'Antico o dal Nuovo testamento venivano recitati a dialogo in forma cantata dal celebrante e dal clero, dapprima all'interno delle chiese, poi sul sagrato.

Sul piano più profano si usava questo genere nelle feste o per celebrare un avvenimento; in tal senso aveva un carattere leggero e popolaresco, come il celebre Jeu de Robin et de Marion di Adam de la Halle, rappresentato alla corte di Napoli nel 1282.

Nel senso moderno l'origine del melodramma va ricercata alla fine del Cinquecento, per merito di un gruppo di intellettuali, poeti e musicisti, chiamato Camerata fiorentina, che discuteva sulla possibilità di creare un nuovo genere monodico, affidato a una sola voce, in contrasto con le forme polifoniche allora dominanti.

L'artista doveva recitare cantando, in forma lirica e drammatica, con l'accompagnamento di vari strumenti musicali. La riscoperta del mondo classico greco-romano ebbe in questo notevole influenza.

Le due opere principali furono quelle di Jacopo Peri, il Dafne, rappresentato a Firenze nel 1598, e il dramma Euridice, rappresentato, sempre a Firenze, in occasione delle nozze di Maria De' Medici con Enrico IV di Francia. I libretti (i componimenti letterari in versi o in prosa, scritti per essere musicati) erano di Ottavio Rinuccini. A quel tempo il contenuto del libretto veniva letto agli spettatori prima dell'esecuzione musicale, per poter meglio seguire il testo cantato e lo sviluppo della vicenda scenica.

Ma è solo con l'opera Orfeo (1607) di Claudio Monteverdi, rappresentante della Scuola Veneta, che il melodramma, coi suoi recitativi, le arie, i cori e alcuni assiemi, assume la sua struttura definitiva. Il melodramma diventa organico e rigorosamente logico nei rapporti tra poesia e musica. Altre sue importanti opere furono Arianna (1608) e L'incoronazione di Poppea (1642).

Con l'apertura, nel 1637, del teatro di San Cassiano, Venezia fu il centro operistico di maggior importanza del secolo XVII.

Quando i teatri cominciarono ad aprirsi anche a un pubblico pagante si diffusero in molte città non solo le tragedie e le commedie semplicemente recitate, ma anche il melodramma, al punto che le prime compagnie di cantanti itineranti, al seguito di un impresario, cominciarono ad esibirsi anche presso le corti europee, usando la lingua italiana. Il cosiddetto "belcanto", frutto di una perfetta educazione della voce, entusiasmava il pubblico, per quanto gli artisti fossero più che altro dei virtuosisti canori, senza particolari abilità recitative.

Sotto questo aspetto, anzi, furono i napoletani Francesco Provenzale e soprattutto Alessandro Scarlatti (1660-1725) a elaborare dei brani melodici in grado di esprimere i diversi sentimenti e stati d'animo dei personaggi. A quest'ultimo si deve anche l'introduzione, nell'opera, della sinfonia tripartita, la successione ininterrotta di recitativi accompagnati da tutta l'orchestra e lo sviluppo della forma chiamata "aria" col "da capo" (una sorta di tesi-antitesi-sintesi).

La Scuola Napoletana, che ebbe un successo incredibile, creò anche vivaci e leggeri intermezzi, consistenti in brevi bozzetti di carattere comico, i cui personaggi (di solito due), rappresentavano borghesi e popolani contemporanei, della realtà quotidiana.

Questi intermezzi, posti tra un atto e l'altro del melodramma serio, fondandosi con la commedia dell'arte, ricca di brio e comicità, assumeranno ad un certo punto vita autonoma, diventando una vera e propria opera buffa, i cui maggiori esponenti saranno Giovan Battista Pergolesi (La serva padrona), Giovanni Paisiello (Nina, ossia la pazza per amore), Domenico Cimarosa (Il matrimonio segreto) e Niccolò Piccinni (La Cecchina ossia La buona figliuola).

Chi invece cercò di riportare l'opera alla sua originale impostazione, sulla base dei canoni della tragedia greca, fu il compositore tedesco C. W. Gluck (1714-95), che lavorando insieme al poeta e librettista italiano Ranieri de' Calzabigi, eliminò il virtuosismo vocale, assecondando con la musica lo sviluppo drammatico, nel rappresentare situazioni credibili.




Il melodramma è una delle forme di spettacolo musicale più complesse, che richiede un notevole impegno umano ed economico. Alla sua realizzazione infatti concorrono:

* la poesia (la trama letteraria, coi dialoghi e i monologhi, è elaborata dal librettista, che può trarre l'argomento da un romanzo o tragedia o dramma o commedia);
* la scenografia (figuranti, costumisti, scenografi, ovvero tecnici delle arti figurative, audiovisive e architettoniche);
* la recitazione dei cantanti;
* la musica (orchestrali, cantanti, cori);
* a volte anche la danza.

Non a caso il melodramma era il genere preferito dai compositori italiani, anche perché potevano lasciarsi guidare non solo da una trama letteraria (una storia o una situazione più o meno veridica), ma anche da una sorta di avventura interiore, una trama di sentimenti liberamente concatenati.

Il carattere della musica può essere gioioso o triste, a seconda che l'opera (o la singola azione) sia buffa o seria. L'opera seria può contenere storie con risvolti tragici, commoventi, drammatici, e può riferirsi a singoli personaggi o a popoli interi, in cui il conflitto tra bene e male appare con una certa evidenza.

Il melodramma diede un incredibile impulso anche alla produzione di cartelloni pubblicitari, con cui veniva avvisato il pubblico dell'imminente messinscena dell'opera. Dalle illustrazioni xilografiche si passò ben presto a sofisticate litografie a colori.

L'opera lirica decadde nel XX secolo, con gli ultimi melodrammi di Berg (Wozzeck, 1925 e Lulu, 1937), di Stravinskij (Carriera di un libertino, 1951) e di Schönberg (Mosè e Aronne, 1957).



< La ricerca di una realtà più umana e interiorizzata, l'approfondimento dello studio psicologico dei personaggi e delle situazioni di una vicenda letteraria (il cui massimo protagonista era stato in letteratura il Manzoni), viene raccolta in campo musicale da quattro grandissimi compositori: Rossini, Bellini, Donizetti e soprattutto Verdi, che supereranno decisamente l'opera seria e buffa settecentesca.

Quelli cosiddetti "veristi" tra Ottocento e Novecento sono Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Cilea, che tendenzialmente preferivano fatti realmente accaduti o comunque rappresentati con senso realistico.

In Germania il più importante furono Wagner e Meyerbeer, oltre naturalmente al preromantico Beethoven, in Polonia Chopin, in Ungheria Liszt, in Austria Schubert e Strauss, in Russia Borodin, Mussorgskij, Ciaikovskij e Rimskij-Korsakov, in Francia Bizet e Massenet, in Boemia Mahler.




La corrente letteraria e artistica, detta "Realismo" o "Naturalismo", che si sviluppa negli ultimi decenni dell'Ottocento francese, in Italia prese il nome di "Verismo", di cui Verga e Capuana furono gli autori più significativi.

In campo musicale il punto di riferimento francese era Bizet (la Carmen è famosissima). In Italia sono Puccini (vedi la Manon Lescaut) e Mascagni (quest'ultimo s'ispirò direttamente alle Novelle rusticane di Verga per comporre la Cavalleria rusticana). Ma indimenticabili restano anche Leoncavallo coi suoi Pagliacci e Giordano col suo Andrea Chenier.

Le vicende prese dalla vita quotidiana e trasposte musicalmente nella loro cruda realtà, si avvalevano di una scenografia più semplice, più domestica; la stessa musica doveva restare costantemente legata all'azione di persone del popolo, in grado di agevolare una facile identificazione da parte del pubblico, benché i drammi e le tensioni fossero particolarmente acuti.

I sentimenti espressi sono portati all'eccesso tramite una vocalità caratterizzata da continui sbalzi e da una ricca orchestrazione.

Il Verismo riflette gli esiti contraddittori dell'unificazione nazionale, del tutto negativi per il Mezzogiorno. Col Verismo non si può più sognare ma solo prendere atto di una realtà tutt'altro che idilliaca. Questa forma di melodramma non poteva avere il successo di quella del primo Ottocento.




Il desiderio di esprimere il libero svolgersi del sentimento, fino alla passione più accesa, spinge i musicisti a imprimere dinamismo, mobilità nei loro pezzi. Clavicembalo e clavicordo vengono presto sostituiti dal pianoforte, lo strumento tipico dell'età romantica.

Lo stesso succede nell'orchestra: mentre in quella classica i protagonisti indiscussi erano i violini, cui gli altri strumenti facevano da contorno, ora viene dato spazio anche a viole, violoncelli, fiati. Berlioz fece capire chiaramente come poter sfruttare tutte le risorse degli strumenti.

Il bisogno di dinamismo si realizza utilizzando anche la modulazione, il passaggio da una tonalità all'altra. In Wagner, p.es., la melodia procede spesso per intervalli minimi (di semitono), nel senso che alle tensioni seguono solo raramente le distensioni (fenomeno del cromatismo).

Il modello di dar voce a una vicenda interiore fatta di emozioni, viene seguito da F. Liszt e F. Chopin, coi loro poemi sinfonici.

Tra i modi di comporre più vicini ai nuovi bisogni espressivi vi è quello del tema conduttore (leit-motiv), applicato da H. Berlioz alla sua Sinfonia fantastica e, con rigorosa sistematicità, nelle opere di R. Wagner, ove ogni personaggio è raffigurato da un tema musicale, nel senso che tutte le volte che sulla scena compare un certo personaggio (o viene anche solo ricordato), si ode il suo tema, più o meno modificato secondo la situazione.

Anche gli oggetti o i fatti più importanti hanno il loro tema: questo è evidentissimo nell'opera di S. Prokofiev, Pierino e il lupo.

Inevitabilmente s'impone il virtuosismo strumentale, cioè l'arte di grande bravura in uno strumento specifico: p.es. N. Paganini col violino e F. Liszt col pianoforte, che diventano dei veri e propri divi.



Il Romanticismo, anche nella sua veste musicale e artistica in generale, aveva cercato di recuperare quegli ideali della rivoluzione francese che il terrore prima, la dittatura napoleonica dopo e infine la reazione aristocratica del Congresso di Vienna avevano cercato di soffocare o quanto meno di ridimensionare.

Il recupero di quegli ideali era avvenuto su un terreno culturale o pre-politico, ma con la medesima finalità di togliere a clero e aristocrazia la gestione esclusiva delle leve dello Stato. Praticamente dagli anni Venti sino agli anni Settanta, l'Ottocento fu caratterizzato da continui moti popolari, che alla fine sortirono l'effetto sperato: portare la borghesia al potere politico e là dove era necessario, come p.es. in Italia, cacciare l'oppressore straniero e realizzare l'unificazione nazionale.

Il melodramma recepì questa tensione e questi ideali, alla sua maniera, quella borghese. Chi si è avvicinato di più al sentire popolare è stato Giuseppe Verdi, che usò questo genere musicale per far credere nell'idea di liberazione nazionale e di progresso sociale e culturale.

Ma già nella seconda metà dell'Ottocento andava facendosi strada il Verismo, che aveva più coraggio nell'evidenziare gli antagonismi sociali, sia nella letteratura che nello stesso melodramma.

Perché un capovolgimento di fronte così repentino? La spiegazione sta appunto nel carattere ambiguo della classe sociale borghese, che quando desidera qualcosa di popolare è "democratica", ma quando vuole gestire il potere è "autoritaria", senza scrupoli.

Il Romanticismo musicale è stato un momento non solo di grande fermento patriottico, ma anche di grande illusione sociale e politica. Mentre la borghesia amava vedere se stessa rappresentata sulla scena, coi suoi drammi interiori, la sua lotta contro il destino, il rifiuto delle ingiustizie, allo stesso tempo però non permetteva di vedere qual era la vera realtà sociale, carica già delle contraddizioni della rivoluzione industriale, che venivano fatte pesare sulle spalle dei contadini trasformati in operai.

Lo stesso artista romantico, così sentimentale, così maledettamente amato e odiato, così invidiato e compatito, esprimeva l'insoddisfazione per i risultati reazionari dell'Europa post-napoleonica e allo stesso tempo l'illusione di poter convivere con quei risultati rivendicando una libertà creativa individualistica, con cui poter andare al di là della ricerca di un profitto borghese o di una rendita aristocratica, senza però disdegnare lasciti e donazioni da parte di estimatori, che gli permettessero di gestire in autonomia il proprio estro, la propria originalità, la propria capacità innovativa, che in fondo gli erano costati enormi sacrifici, a causa dei quali s'era guastato il fisico spesso in maniera irreparabile, tanto che molti di loro non raggiungeranno i quarant'anni di età.


Bibliografia in note
[note]Testi

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* it.wikipedia.org/wiki/Musiche_di_scena
* it.wikipedia.org/wiki/Opera_lirica
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